LA CARTA E IL TERRITORIO di M. Houellebecq: "L'arte è sempre un'aggressione"

 

Lo scrivo subito che considero La carta e il territorio, il romanzo di Michel Houellebecq uscito nel 2010 e vincitore del premio Goncourt, un capolavoro dei nostri tempi, uno di quei romanzi necessari in una certa epoca, destinati a divenire classici in futuro. Non tutti concorderanno con la mia opinione, ma sono convinto che qualcuno ne diverga perché ai suoi occhi – magari inconsapevolmente - Houellebecq deve scontare il peccato mortale di essere uno scrittore di successo e sovente al centro dell'attenzione mediatica. Dell'importanza di Houellebecq nel panorama letterario attuale ho già accennato a proposito del suo romanzo Sottomissione.

La carta e il territorio narra della vita dell'artista Jed Martin, del processo creativo alla base delle sue opere, fotografie, quadri, filmati, e del successo da lui ottenuto. La terza parte del libro devia dalla linea narrativa principale per dar vita a un falso plot giallistico. L'epilogo, infine, si svolge in un futuro prossimo venturo; una scelta narrativa consueta per Houellebecq.





La ricostruzione del processo creativo dell'artista visivo Jed Martin a me – profano – è parsa credibile e affascinante. Houellebecq ha prestato estrema attenzione a un ambiente che probabilmente conosce di prima mano, con la sensibilità, inoltre, propria di chi artista lo è a sua volta.

La storia, quasi tutta ambientata ai giorni nostri, è raccontata dallo sguardo freddo, disumanizzato di un narratore forse onnisciente, di stampo quasi ottocentesco, che restituisce una visione in linea con lo zeitgeist imperante.

La scrittura, di una oggettività raggelante, è protesa all'esplorazione della società occidentale e si sofferma sullo sviluppo dei rapporti umani in un'epoca che offre quale unico criterio di discernimento il calcolo razionale, ridotto quasi sempre a mero computo economico, in cui 'valore' corrisponde a 'prezzo' e l'unico fine socialmente condiviso è quello del profitto.

Il versante critico di La carta e il territorio ha luogo in maniera quasi paradossale: proprio la descrizione gelida, precisa, in stile iperrazionale, oggettiva eppure organica al contesto che descrive, rivela i diversi volti di una civiltà divenuta alienante e disumana. Lo stesso Houellebecq in un'intervista a Repubblica ha dichiarato: "L'arte è sempre un'aggressione. Descrivere il mondo in maniera oggettiva significa di fatto criticarlo con aggressività. La descrizione è sempre una critica. E per di più la sola efficace".

Lo sguardo quasi passivo del protagonista, nonché quello del narratore che si suppone oggettivo – e perciò acritico, mero traduttore dello stato delle cose - è esattamente lo sguardo della nostra contemporaneità, quello nostro, di noi come persone, e soprattutto quello quotidianamente diffuso, in maniera più o meno sottile, dai media, dall'industria culturale e dalla politica del nostro tempo. Houellebecq rivela in tutta la sua inconsistenza e ipocrisia lo scarto esistente tra ciò che noi cittadini occidentali siamo già effettivamente, ora, anche solo perché viviamo immersi in questa epoca – cioè irrilevanti individualità deputate alla produzione e al consumo secondo ritmi e regole ben precisi - e quello che invece, in qualità di uomini rispettosi del prossimo, corretti, ligi al dovere e dalla vita privata non riprovevole, pretendiamo di essere - cioè brave persone, ciascuna speciale, ciascuna importante, tutti protagonisti, tutti con un ruolo ben definito nel mondo – quello stesso mondo che decide lui il come, il quando e il quanto valiamo. Noi siamo liberi di adattarci, ovviamente in maniera oggettiva, acritica.

Insomma, talvolta le notizie non sono buone, ma non per questo Houellebecq intende ignorarle... In La carta e il territorio neppure il personaggio di Houellebecq medesimo, presente nel romanzo nella veste di se medesimo, visto però attraverso la prospettiva non autobiografica del narratore esterno, si sottrae all'immanenza di una società che regola tutto secondo criteri di mercato. È anch'egli homo oeconomicus...

Una visione pessimista, dunque? Fino a un certo punto, perché non riesco a pensare che sia pessimista chi si ostina a guardare in faccia alla realtà, chi non rifiuta le notizie anche quando sono brutte, chi intende avere coscienza del vero anche di fronte alla sconcezza di certi suoi aspetti. Il fatto stesso che esistano intellettuali o artisti come Houellebecq, che non si girano da un'altra parte o galleggiano sulla superficie delle cose, mi fa essere più ottimista. Avere contezza di chi siamo o dove viviamo è già un inizio.

Proprio la capacità di scavare nel profondo e rivelare i nessi più scandalosi dei vincoli sociali fa dell'autore di La carta e il territorio uno scrittore oggi più che mai necessario.

Persino Baricco – uno scrittore di puro intrattenimento, eppure brillante quando commenta opere altrui - ha scritto a inizio 2015, a proposito di Sottomissione, uscito in concomitanza della strage a Parigi nella sede di Charlie Hebdo: «Se ancora esiste una pratica che si chiama letteratura — contraddistinta da un certo dominio tecnico superiore e da un’ardita fedeltà ad antiche, estreme, ambizioni — non sono poi molti gli scrittori che oggi vi si dedicano con risultati memorabili: per quel che ne capisco io, uno è Houellebecq. Per questo, chinarsi su ogni suo libro, anche a costo di uscirne delusi, è un gesto che vale la pena di compiere. Di rado è un’esperienza piacevole: Houellebecq è un pensatore spinoso, prima che uno scrittore capace, e il disprezzo chirurgico con cui prova a fare a pezzi luoghi comuni a cui dobbiamo una parte significativa della nostra buona coscienza rende la lettura dei suoi libri fastidiosa fino alla ripugnanza. Tuttavia, quasi sempre l’intelligenza è affilatissima, e la scrittura non banale. Alte le ambizioni, coerente il gusto. Ce n’è abbastanza per interessarsi a lui: quanto ad amarlo è una conseguenza possibile almeno quanto lo è il detestarlo».

Intervistato da Fabio Gambaro per Repubblica Houellebecq dice la sua sul mestiere di scrivere: “I lettori sottovalutano la capacità d'immaginazione del romanziere, pensano che il suo racconto sia sempre tutto vero e frutto di esperienze vissute. Io invece invento molto, perché è più facile inventare che riprodurre fedelmente la realtà (…). Uno scrittore non può evitare una tematica solo per non provocare polemiche. Un artista deve essere libero e rifiutare l'autocensura, deve potersi esprimere senza pensare alle conseguenze, perché altrimenti non farebbe più nulla. Inoltre, quando si scrive un romanzo, a un certo punto i personaggi scappano di mano all'autore. Noi scrittori non possiamo più controllarli, diventiamo semplici scrivani al servizio delle loro storie. Anche perché, a mano a mano che cresce, un romanzo assume una logica interna che non è più possibile modificare”.

Infine, per quelli a cui può interessare, nella stessa intervista l'autore di Le particelle elementari si esprime anche sulla Brexit, dicendosi “piacevolmente sorpreso. Pensavo che alla fine il popolo britannico avrebbe ceduto alle minacce delle élite politico- finanziarie tutte schierate contro la Brexit. Da molti anni ormai, il principale argomento a favore dell'Europa è la paura delle conseguenze prodotte da un'eventuale fine dell'Unione europea. In Gran Bretagna però, il popolo ha votato senza paura contro le élite. Per il paese sarà sicuramente meglio, perché non sarà più vincolato dall'Europa. La UE è una struttura burocratica sovrapposta a un insieme di paesi che non hanno interessi economici comuni. Gli scopi dei singoli stati sono divergenti, quindi la loro coesistenza non può essere democratica. Ci sarà sempre chi prevale sugli altri. Il progetto comune è solo un'illusione."

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