QUALCOSA SUI LEHMAN di S. Massini: il miglior romanzo italiano del 2016?


Non è che sia tanto lecito da parte mia affermare che Qualcosa sui Lehman di Stefano Massini è il miglior titolo italiano del 2016 in ambito di narrativa. Nel senso che finora ho letto al massimo due o tre libri italiani usciti nel 2016, perciò il mio giudizio vale ben poco. Tuttavia, anche quando avrò letto altri  romanzi del 2016 so che ne rimaranno pur sempre tanti altri di valore che non avrò letto e che probabilmente mi sarebbero piaciuti. La variabile per cui ciascuno legge quel che riesce, in maniera necessariamente limitata dal fattore tempo, mi pare non sia tenuta nel giusto conto da tutti i tizi che stilano elenchi e classifiche del meglio del tal anno o del tal decennio e così via.

Detto ciò, Qualcosa sui Lehman è un libro che, ritengo, sarà ricordato, forse diventerà un classico. Stavo per scrivere che si tratta di un romanzo, ma non sarebbe del tutto esatto. In copertina lo si qualifica 'romanzo/ballata' e la definizione mi pare la più appropriata.
Il romanzo dei Lehman è davvero scritto da Massini in forma di ballata, come si vede nella foto qua sotto.



E la ballata narra l'epopea della celebre famiglia di banchieri dall'arrivo sul suolo statunitense del fondatore Henry a metà del XIX° Secolo fino al fallimento del 2008, lasciato 'fuori scena' in maniera, a mio avviso, opportuna in quanto la cessazione ha riguardato una società ormai evanescente fatta di denaro virtuale, ormai svincolata dall'elemento umano e ancor più da chi fa Lehman di cognome.
Qualcosa sui Lehman è scritto in versi liberi, in una forma che richiama l'epica dei grandi classici. In effetti le scelte semantiche, la ricorsività di termini, delle situazioni, degli spunti narrativi ne fanno una vera ballata il cui architrave, tuttavia, rimane l'impianto narrativo del grande romanzo familiare otto-novecentesco. La struttura di Qualcosa sui Lehman non può che ricordare quella a piramide de I Buddenbrook. La base su cui poggia la storia è ampia, i primi capitoli descrivono i primi passi dei fratelli Lehman con dovizia di fatti e particolari. Man mano che si sale l'edificio di Qualcosa sui Lehman si restringe fino a un vertice dove eventi e parole si rarefanno sempre più per sfociare in uno scioglimento finale in cui si intuisce l'accadimento terminale senza 'vederlo' rappresentato, proprio come nell'ultimo capitolo de I Budddenbrook.

Rispetto alla trilogia teatrale Lehman Trilogy, messa in scena da Ronconi, che secondo La Stampa "va pensata come una costola estratta da questo palinsesto più ampio" il romanzo-ballata di Stefano Massini "guadagna, nella nuova o originale versione, una trama fittissima di vicende ulteriori, di pensieri, di azzardi e soprattutto di gesti" (sempre La Stampa).


Il rischio noia - lo sottolineo - è escluso malgrado la fisionomia così peculiare che ha scelto l'autore per quest'opera monumentale, epica, al limite tra differenti modalità di declinare la narrazione. Non ci si annoia mai, anzi, l'azione è una costante del racconto e della vita dei Lehman, scandita attraverso le tappe salienti della riorganizzazione della società.



I protagonisti, ovviamente basati su quelli realmente esistiti, sono in genere abbozzati da Massini con pochi tratti essenziali o con una particolarità caratterizzante, quanto occorre per ricostruire il dover essere di una forza situata al di là del bene e del male, quell'avidità connaturata ai Lehman, atavica e totalizzante, che consiste più in una missione che in mera sete di denaro. Una missione che trascende la famiglia Lehman e che ha obbiettivi sconfinati come il grande Paese che ha accolto i tre giovani fratelli immigrati Henry, Emanuel e Mayer al principio di questa storia. Questa sorta di alto servizio eleva i Lehman sul podio del capitalismo ottocentesco, quello di stampo positivista che funge da guida delle progressive e umane sorti. Ciononostante incubi gravidi di paure, di incertezze e di sensi di colpa avvelenano il sonno dei più eminenti fra i Lehman.

Se poi Qualcosa sui Lehman non si rivelesse il miglior romanzo italiano dell'anno ormai trascorso, meglio così: significherebbe che la letteratura italiana è più viva e feconda di quel che penso.

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