LA SCALA DI SCHILD di Greg Egan ovvero Come ti uccido la fantascienza


La scala di Schild è un romanzo di Greg Egan del 2002 che parte da un'idea accattivante (trama etc.: qui), non è scritto male e sotto il profilo scientifico è senz'altro rigoroso. Il libro è scritto secondo i dettami della fantascienza più 'dura', indicando persino le fonti accademico/scientifiche di riferimento. Tuttavia La scala di Schild, con grande rigore scientifico, m
i ha parecchio annoiato .

Greg Egan, australiano, è uno dei più noti scrittori di fantascienza contemporanei. In particolare è considerato un maestro della cosiddetta hard science fiction, la quale, “detta anche fantascienza tecnologica, è una categoria della fantascienza caratterizzata dall'enfasi per il dettaglio scientifico o tecnico, o per l'accuratezza scientifica, o da entrambi” (Wikipedia dixit). Più precisa la definizione che ne dà Ted Chiang (altro scrittore di fantascienza oggi fra i più rappresentativi): “Nella misura in cui un'opera di fantascienza riflette la scienza, è fantascienza hard. E riflettere la scienza non significa necessariamente coerenza con una determinata serie di fatti: più in sostanza, significa coerenza con una determinata strategia per comprendere l'universo. La scienza cerca una spiegazione diversa da quelle cercate dall'arte o dalla religione, una spiegazione in cui la misurazione oggettiva ha la precedenza sull'esperienza soggettiva”.



Non ho dubbi: la cosiddetta hard science fiction – almeno per me – è a serio rischio tedio. La definizione di Chiang è affascinante, ma ritengo confermi l'eventualità che la fantascienza hard possa demotivare il lettore di narrativa (almeno quello più o meno digiuno di scienza), che cerca altro – altro di più e altro di diverso – rispetto alla 'misurazione oggettiva'.
Lo conferma il venerando Robert Silverberg, per il quale "che i lettori attuali (...) siano così preparati da rispondere con favore a romanzi così complessi e astrusi come quelli scritti da questi tre autori (Greg Egan, Charles Stross e Vernor Vinge) è qualcosa che non mi sento di dire" (Robot n. 53/2008). Ecco, 'astruso' è l'aggettivo che forse meglio qualifica La scala di Schild.

La questione delle presunte virtù della fantascienza più arditamente tecnologica ritengo abbia anche molto a che vedere anche con il sempiterno dibattito sulla morte della letteratura di fantascienza. Un dibattito mai sopito e attualmente assai vivo. Mi è parso di capire che la questione sia giunta ad almeno tre punti fermi:
1) La morte della fantascienza riguarda solo la letteratura. Nel cinema, nella televisione, nei fumetti e nei videogiochi, ad esempio, la fantascienza ha un ruolo da protagonista (non sempre intelligente, mi permetto di puntualizzare).
2) La narrativa d'anticipazione non può sopravvivere ad un presente che calpesta il futuro, nel senso che l'attualità supera le previsioni e l'immaginazione. Su questo punto non sono d'accordo: non basta internet e l'enorme sviluppo di dispositivi di comunicazione e d'intrattenimento a cui abbiamo assistito negli ultimi anni a suffragare una simile conclusione, in quanto, a mio parere, per il resto non si vede granché di eclatante o decisivo
L'esplorazione spaziale è stata abbandonata per vari motivi, nuove forme di energia e di combustibili non inquinanti non paiono priorità assolute e sono meno diffusi dell'Iphone, si muore ancora di cancro, si muore ancora di fame e di malattie: scusate se è poco.
3) La fantascienza è viva anche in letteratura, ma sotto forma di virus che ha attecchito sul corpo della letteratura mainstream. Ovvero, la fantascienza viene praticata in sordina, senza chiamarla col suo nome, sovente senza che la copertina dei libri ne espliciti l'appartenenza al genere.

Le conclusioni sopra possono essere più o meno condivisibili. 

Ad ogni modo è indubbio che sia in crisi quel modulo narrativo tipico della fantascienza classica degli anni tra i Quaranta e i Sessanta. D'altra parte, se la fantascienza attuale fosse rappresentata in primo luogo dalla sua variante hard (ma lo è?), allora sarebbe presto spiegato il drastico calo di lettori e appassionati del genere.

Può darsi, in effetti, che maturando la fantascienza sia divenuta seria, o seriosa, che abbia deciso di adoperare il rigore scientifico per ottenere un'autorevolezza che la ponesse al pari della letteratura mainstream. Per essere presa sul serio, insomma. Per essere creduta ed essere verosimile, ma rigettando così la sospensione dell'incredulità alla base di quel sense of wonder che ha fatto la fortuna del genere fantascientifico.
E così la science fiction ha perso fascino, attrattiva, e, in definitiva, ragion d'essere. 
Eppure, tutto ciò solo in ambito letterario. Allora non siamo forse noi lettori di oggi che rifiutiamo di sospendere la nostra incredulità? Siamo più cinici e abbiamo perso immaginazione? Vale la pena rifletterci.

Una questione però travalica l'ambito della fantascienza e cioè se il contributo delle scienze esatte all'arte, e alla letteratura in particolare, sia davvero cruciale e nobilitante, ed eventualmente quanto lo sia. Secondo me sì, può essere determinante e nobilitante, ma solo come supporto, come cornice, come tema, come "strategia per comprendere l'universo", non come fine dell'opera narrativa.
La scienza cerca una spiegazione diversa da quelle cercate dall'arte..., una spiegazione in cui la misurazione oggettiva ha la precedenza sull'esperienza soggettiva”, come afferma Ted Chiang. Dunque conciliare l'esigenza dell'oggettività scientifica con quella dell'esperienza soggettiva propria della narrazione è la vera sfida da affrontare nell'ottica della hard science fiction. Tuttavia qualora questa sfida venga perduta, come nel caso di La scala di Schild, be', allora preferisco leggere un saggio di scienze anziché un testo di narrativa astrusa. Dalla narrativa mi aspetto qualcosa di diverso, qualcosa che in genere incomincia là dove finisce la scienza.

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