BEATLES. L'ENCICLOPEDIA di B. Harry ovvero Come la Provvidenza aiutò John, Paul & C.


Perché leggere una enciclopedia dedicata a Beatles? Più di 700 pagine, scritte in piccolo, e molte dedicate a ogni singola location dove i Fab Four hanno tenuto concerti... Anche troppo, non lo nego. Senza contare l'orrida copertina. Il fatto è che l'appassionante biografia Beatles. La vera storia di Bob Spitz, che ho letto l'anno scorso, ha rinfocolato la mia curiosità e questo Beatles. L'enciclopedia di Bill Harry, pubblicato in versione aggiornata nel 2000, è notoriamente uno dei più completi e titolati fra quelli riguardanti storia e musica del quartetto di Liverpool. Anche perché Bill Harry (nella foto sotto ultimo a destra, insieme a Paul, George, John e Ringo) era compagno di classe di John Lennon alle superiori, conosceva personalmente i quattro ragazzi e li frequentava fin dagli sgangherati esordi. Assistette, insomma, alla scalata al successo del gruppo molto da vicino e da una posizione privilegiata, visto che all'inizio degli anni Sessanta fu fondatore della rivista Mersey Beat, incentrata sulla fertile scena rock di Liverpool. 



Alcune schede possono interessare solo i più fanatici fra i fan, ciononostante la gran parte delle voci riportano notizie e aneddoti assai gustosi. C'è poco da fare, la storia privata e artistica dei Beatles riportata in ordine alfabetico perde parecchio fascino, diventa farraginosa e meno piacevole da seguire, tuttavia questa lettura, che mi ha accompagnato per circa sei mesi, rappresenta una buona scusa per aggiungere qualche considerazione alle milioni già svolte sull'argomento Beatles.

Qui, come nel libro di Spitz che ho già citato, si insiste parecchio, e giustamente, su quanta gavetta si sono fatta i Beatles prima di raggiungere la fama. Grossomodo cinque anni di innumerevoli concerti in locali da due soldi, di vita estremamente precaria e dall'orizzonte assai vago, di crescita compositiva e di rodaggio sui palchi dei club. Desta stupore e ammirazione la forza di volontà e la determinazione dei quattro ragazzi che avevano intrapreso il mestiere di rocker. Un mestiere che tra la fine degli Anni Cinquanta e l'inizio dei Sessanta era meno definito, meno ricco di denaro e di gloria di quel che divenne dopo di loro (e con loro). Ebbero coraggio quei quattro o cinque (all'inizio) ragazzi di Liverpool, non c'è che dire. Non furono certo i soli, ma non va dimenticato che era immensamente più probabile finissero i loro giorni di rocker trascorrendo qualche anno giovanile da bohémien per rientrare successivamente nei ranghi dei lavoratori di fatica o di poco concetto riservati ai ceti sociali più modesti, come accaduto a tanti loro compagni di viaggio dei primordi.

Altro punto essenziale che trova ampio spazio in qualsiasi biografia beatlesiana è l'origine proletaria di Lennon, McCartney, Harrison e Ringo Starr. Le famiglie di origine dei Beatles erano sull'orlo dell'indigenza. Questo aspetto è stato approfondito specialmente in Beatles vs Stones di John McMillian - uno storico, non a caso - che ha scritto il libro meno aneddottico e più ricco di sostanza sui Fab Four (e sui Rolling Stones). I
 Beatles provenivano da famiglie che se non si possono definire povere è solo perché il secondo dopoguerra fu un periodo di conquiste sociali e di relativa crescita dei redditi. Per la verità John Lennon proveniva da un ambiente familiare che si poteva definire borghese, non fosse che la famiglia in cui crebbe fu quella di sua zia, che il padre era scappato durante l'infanzia di John e che la madre fu ritenuta (e lei stessa si ritenne) troppo irresponsabile per occuparsi del figlio...

Essenziale fu anche il caso. La fortuna, o la Provvidenza, per dirla come Manzoni, volle che i Beatles giungessero al successo attraverso una serie di casi fortunati, ben evidenziati anche in parecchie voci di questa enciclopedia. Casi fortunati che per la verità non riguardano solo i Beatles, ma contraddistinguono i primi passi di tanti gruppi, Rolling Stones in primis. Che, a esser del tutto sincero, credo riguardino chiunque abbia parecchio successo. Ma la buona sorte dei Beatles o dei Rolling Stones ha più fascino di quella di Donald Trump o di Hillary Clinton, per fare due brutti nomi a caso.

La Provvidenza ha inciso in maniera speciale sul destino dei Beatles (e del mondo!) quando ha deciso di riunire in una sola band Lennon e McCartney, ovvero due autori, performer, leader – artisti più che completi, insomma – che anche singolarmente avrebbero illuminato il destino di una band. Invece entrambi convissero artisticamente nei Beatles per tanti anni prima di giungere a un grado di disaccordo tale da far cessare l'unione. Due talenti che anziché di contribuire ognuno per la sua parte al lavoro della band, magari dividendosi i compiti, tipicamente l'uno nella composizione musicale l'altro nelle parole, erano entrambi compositori completi. Che nei Beatles unirono le forze. Nella fase iniziale della loro storia compositiva il contributo dell'uno o dell'altro era quasi indiscernibile, poi, gradualmente, la scrittura divenne un lavoro individuale su cui il partner aveva una sorta di diritto all'ultima parola. Verso la fine le composizioni erano ormai opera del singolo arrangiate dal gruppo. L'ultimo scorcio di di vita del gruppo offrì spazio anche al talento compositivo di George Harrison. Con tempismo perfetto, proprio quando Lennon incominciava a disinteressarsi al gruppo che aveva fondato.

Volendo fare una distinzione grossolana si può affermare che Paul McCartney fu il vero genio musicale dei Beatles, il grande inventore di musica popolare, mentre John Lennon fu il Beatle più artista, quello più incatalogabile e dall'indole più all'avanguardia.

Sovente McCartney dà l'impressione di aver rinvenuto le sue canzoni da un substrato di musica depositato nel subconscio di ciascuno di noi. Sembra sempre di aver già sentito le sue melodie, quasi che siano sempre esistite (ora è fin troppo semplice dire che sono eterne). Egli stesso quando scrisse Yesterday era convinto fosse basata su una melodia che aveva già orecchiato, su un pezzo altrui di cui non ricordava l'autore. Secondo me McCartney possedeva il dono di essere il tramite tra l'inconscio collettivo e la forma canzone finale, o qualcosa di simile. Perciò molte canzoni dei Beatles in cui il suo contributo compositivo è quello preponderante sono divenute da subito patrimonio comune dell'umanità.

Invece le canzoni ascrivibili, in parte o esclusivamente, a John Lennon, soprattutto col passar degli anni divengono sempre più marcatamente sue. Nessuno può dubitare dell'identità e dell'unicità dei suoi pezzi dal 1965 in poi. Le radici musicali di Lennon traevano più linfa dal rock'n roll rispetto a Paul McCartney. Era il meno 'tecnico' dei Beatles, quello che meno si sforzava di migliorare la propria capacità esecutiva, cionondimeno, per quanto McCartney fosse dotato di un innato istinto musicale, Lennon era la personalità artistica più spiccata e peculiare della band, l'unico del quartetto che indubitabilmente, comunque fossero andate le cose, sarebbe diventato un artista. Magri di strada, ma pur sempre un artista. Era anche il Beatle più provocatore e trasgressivo, quello destinato a rompere gli schemi.

Però, a ben guardare – e ciò è stupendo – la divisione fatta con l'accetta di cui sopra regge solo fino a un certo punto. Le composizioni innovative di McCartney non sono poche (Helter Skelter, Eleanor Rigby, per citarne due), gli anthem di struttura pop ad opera di Lennon non mancano anche nella sua fase matura (Ticket to ride, All you need is love, Revolution). Ergo, aggiungo a ragion veduta una banalità ad altre banalità: i Beatles non sono classificabili. Non facilmente, almeno. 
Anche perché hanno fondato i canoni di quella che definiamo musica rock. Non si prescinde dai Beatles, se si parla di rock. Ed è arduo impiegare altri termini di paragone. Chi viene dopo, viene dopo, mentre i maestri (ad esempio Elvis, Buddy Holly) ben presto vengono superati, lasciati indietro di chilometri. C'è chi viene intanto, è vero, e non faccio nomi per non aprire parentesi troppo ampie, ma per prescindere davvero dai Beatles bisognava vivere su un altro pianeta.

Infine, senz'altro va apprezzato che Beatles abbiano terminato la loro corsa al momento giusto, cioè all'apice del successo, quando erano ancora i migliori sulla piazza. Così volle la Provvidenza. Forse potevano continuare un anno o due a livelli di assoluta eccellenza, vista la produzione solista di Lennon e Harrison subito dopo lo scioglimento, ma chissà. Chissà.

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