LA CONFESSIONE di Lev N. Tolstoj ovvero Come mai Tolstoj vale più di Steve Jobs



Tolstoj più che uno scrittore è una sorta di monumento conosciuto soprattutto grazie ai suoi grandi romanzi Guerra e pace e Anna Karenina. Tuttavia ad approfondirne, anche poco, la conoscenza si scopre una figura assai più complessa e tormentata. Tanto che, se di monumento vogliamo parlare, allora lo stesso Tolstoj è stato il primo a graffiarlo e sbreccarlo.

Igor Sibaldi ha definito l'ego di Tolstoj esorbitante a tal punto da necessitare della sua peculiare scrittura soggettiva (tutto espresso, cioè, attraverso la prospettiva del singolo personaggio). L'io titanico dello scrittore russo attraverso il filtro dei suoi personaggi rifletteva su carta i propri pensieri e le proprie pulsioni. Sempre Sibaldi descrive la vita di Tostoj come un romanzo in corso d'opera, che lo scrittore talvolta, arrivato ad un certo punto, decideva di riscrivere o di dirigere verso un'altra direzione, e allora Tolstoj faceva sterzare la propria vita, le faceva imboccare una nuova strada in base al nuovo impulso covato magari per anni o decenni, e che egli liberava con pochi riguardi per il contesto sociale, per chi gli era vicino, specialmente per sé stesso. Un monumento, dunque, che offre una visione caleidoscopica di sé, ogni volta differente, a seconda del punto di osservazione, a seconda del momento in cui lo si guarda.

Una delle personalità più vitali e affascinanti di cui mi sia capitato di leggere.

Tolstoj in La confessione narra non le vicende di qualche personaggio, ma svolge un'autoanalisi della sua vita per testimoniare, attraverso la propria esperienza, la presa di coscienza della necessaria esistenza di Dio. Il libro viene pubblicato nel 1882, Tolstoj ha 54 anni, è uno scrittore celebre, da allora la sua vita e la sua arte non saranno più state le stesse. La conclusione a cui perviene è molto discutibile, ma il processo di irriducibile ricerca che ha preceduto l''illuminazione' non lascia indifferenti e, anzi, per molti versi, desta indiscutibile ammirazione.

Tolstoj risale agli inizi della sua vita e della sua attività di scrittore, lamentando la vanità e l'opportunismo della congrega di artisti a cui egli stesso apparteneva.
Rigetta e ritiene futile l'idea di progresso, che vede come una barca che continua ad avanzare in balia delle onde, senza sapere dove dirigersi.
Tolstoj giunge perfino a rinnegare la validità di quanto aveva scritto nella recente maturità. Si pone interrogativi esistenziali, tuttavia le scienze possono aiutarlo ad ottenere risposte solo su problemi specifici, mentre la filosofia, da parte sua, migliora le domande senza fornire risposte. Non scorge altro, alla fine, che l'assurda vuotezza della vita. Una visione che porta sull'orlo del suicidio.
La risposta, infine, pare possederla solo il popolo minuto: la fede in Dio. Una fede irrazionale, vissuta, più che professata, dai contadini (perché a costoro si riduceva il cosiddetto popolo russo) con semplicità ed umiltà, eppure in grado di rispondere alle domande che Tolstoj si pone e di dare senso alla sua vita.

Secondo lo scrittore russo il mondo sarebbe governato dalla non meglio precisata volontà divina la cui comprensione può essere ottenuta solo attraverso l'obbedienza a tale volontà (!!!), sulle orme del semplice popolo lavoratore che, con ogni evidenza, Tolstoj idealizza.

Una conclusione tutto sommato piuttosto ingenua, volutamente ingenua, che si sarebbe tentati di definire anche superficiale, quasi un'ultima spiaggia per un uomo che non vedeva via d'uscita.

Quanto all'insensatezza della vita Tolstoj stesso si rese conto che il suo era un giudizio soggettivo, riservato a sé e alle persone delle sue condizioni socio-culturali, non necessariamente condivisibile.

Non nella religiosità delle Chiese terrene intende trovar rifugio lo scrittore: pensa che che nella loro dottrina cristiana vada separato il vero dal falso. Da ciò si evince come mai il libro fu immediatamente dopo l'uscita fu posto sotto sequestro a motivo dei contenuti ritenuti blasfemi.

Il curatore del volume, Giandomenico Pacini, spiega che anche in seguito Tolstoj lascerà contorni ben vaghi a questa sua teologia. “Dio è il mio desiderio”, affermerà Tolstoj, fornendo forse la spiegazione più puntuale del proprio afflato verso il divino.

Può avere ancora una qualche attualità La confessione? Secondo Pacini la testimonianza di Tolstoj della tensione dal finito delle nostre vite ad un infinito desiderato, forse unica via allo spirito, rimane un lascito tuttora rilevante, mentre senz'altro già allora l'idea di popolo di Tolstoj era largamente idealizzata e meno che mai può trovare qualche appiglio con la realtà attuale rappresentata dalla massa di persone imbruttite da consumismo e superficialità.

A mio avviso il fuoco che tiene vivo La confessione e che lo rende degnissimo di lettura è la ricerca insaziabile e costante di Tolstoj, che pare quasi voglia dirci “siate affamati, siate folli” ben prima di Steve Jobs, e non per far soldi, bensì per trovare, o essere, noi stessi. La voce di un uomo che si è posto più domande di quante risposte la realtà possa offrire, di un uomo che è cresciuto, è cambiato, ma non ha mai cessato di porsi quelle domande.

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