UMBERTO ECO o Dei conflitti di interesse

(Quello che segue è un post lungo, articolato, per qualcuno palloso, per qualcun altro borioso. Siete avvisati)

Avvenuti i funerali Umberto Eco dovrebbe spegnersi un po' del clamore mediatico provocato dalla scomparsa, per cui forse si può ragionare più lucidamente sul lascito dell'intellettuale d'origine piemontese .


Anticipo in estrema sintesi le conclusioni a cui pervengo con le considerazioni più sotto.

Come semiologo e studioso di mass media Umberto Eco è stato importantissimo (ma lo affermo con beneficio d'inventario).
Come scrittore è stato bravo, ma non particolarmente rilevante.
Come intellettuale 'impegnato' è stato incoerente e - paradossale conclusione - intellettualmente disonesto.

Detto ciò, va chiarito che la statura intellettuale c'era, eccome. Umberto Eco è stato un eccezionale erudito, un fondamentale studioso dei media e un narratore sopraffino. Si è dedicato a uno spettro di interessi e di attività così ampio che davvero, come qualcuno ha già fatto, lo si può accostare al modello sapienziale del Rinascimento. Una carriera, la sua, grossomodo divisa in due parti: fino agli Settanta preponderanti sono gli studi filosofici e di semiotica, dagli anni Ottanta la dimensione narrativa si pone in primo piano, se non altro per il successo ottenuto.

Mi sembra che Eco sia stato una forza propulsiva della nostra cultura specialmente nella prima parte della sua carriera. Non ho letto i suoi saggi dedicati alla semiotica o alla cultura di massa, ma do per acquisito che siano stati fondamentali per le relative discipline.

Poi nel 1980 è arrivato Il nome della rosa e allora Umberto Eco è divenuto (o è stato reso) un personaggio e un brand da tutti conosciuto. Io ho letto solo Il nome della rosa e Il pendolo di Foucault. Si tratta di giochi perfettamente congegnati, avvincenti, la cui prerogativa, però, rimane l'enorme numero di copie vendute. Entrambi i libri procurano i piaceri dell'intreccio ben combinato, della lettura erudita e poco di più. Non direi che la narrativa di Eco ha aperto ai suoi lettori nuove finestre sul mondo o che abbiano inciso in profondità sul nostro contesto culturale (semmai hanno inciso sulla cosiddetta 'industria culturale'). Lo scrittore era dotato senz'altro di eccellente padronanza tecnica, mentre lo sguardo era rivolto al passato e al suo imponente bagaglio culturale. Nulla di male, mica tutti hanno il dovere di scrivere pietre miliari e la letteratura d'intrattenimento prodotta da Umberto Eco è stata di alto livello.

Sulla stampa nazionale e sul web sono stati intonati veri e propri peana in memoria. Fa eccezione, fra gli altri, un articolo pubblicato da Libero (se vuoi, vedi qui). Il pezzo è stato scritto inforcando gli occhiali della politica. Non si perdona a Eco di essere stato snob e antiberlusconiano. Incentrare tutta l'attenzione su questo mi pare esagerato, ma ritengo valga la pena approfondire un paio di rilievi più o meno ignorati dai vari panegirici commemorativi di questi giorni. Così da evitare che di Eco rimanga solo un santino dai tratti sfocati.

Libero accusa Eco di essere stato uno snob, ed egli, quasi certamente, snob lo è stato veramente. Negli ultimi trent'anni, quelli della grande fama, può darsi che i suoi problemi si siano rivelati differenti da quelli delle persone comuni. Eppure nel 1971 fu tra i sottoscrittori dell'autodenuncia di solidarietà a Lotta Continua indirizzata al Procuratore della Repubblica di Torino. Eco probabilmente era una figura più complessa o, quantomeno, in evoluzione di quanto faccia credere l'articolo di Libero.

Più problematico esprimere un giudizio su Eco intellettuale 'impegnato'.

Il momento in cui il suo impegno giunse al culmine fu in occasione delle elezioni politiche del 2001, con l'appello “Non possiamo astenerci dal referendum morale” pubblicato in prima pagina da Repubblica. Nel pezzo Eco offre un catalogo dei modelli antropologici degli elettori di destra e di sinistra. L'elettorato di destra è chiaramente quello contro cui mobilitarsi poiché, in buona o malafede, è sostenitore del regime di fatto in procinto di essere instaurato da Berlusconi. “Il maggior pericolo per il nostro Paese è però costituito dall'Elettorato Demotivato di sinistra”, sosteneva Eco, composto da coloro che “non si sono ancora resi conto o cercano disperatamente di ignorare che quello che ci attende tra qualche giorno non sono elezioni normali, bensì un Referendum Morale. Nella misura in cui rifiuteranno questa presa di coscienza, sono destinati al girone degli ignavi”.

Io, in quei giorni, la pensavo esattamente come Umberto Eco. Libero la pensava esattamente al contrario.

Io, oggi, non la penso come Libero, tuttavia mi chiedo quanto Umberto Eco fosse davvero coerente con ciò che proclamava sulle prime pagine dei giornali.

Espongo una circostanza sostanziale e decisiva al riguardo.

Umberto Eco era associato all'Aspen Institute, associazione privata non molto nota, ma di prestigio. Ovviamente nulla da eccepire sul fatto che Eco, lecitamente, abbia scelto di far parte di un'associazione no profit formata da “leader del mondo industriale, economico, finanziario, politico, sociale e culturale” che “privilegia il confronto ed il dibattito 'a porte chiuse', favorisce le relazioni interpersonali... in condizioni di assoluta riservatezza e di libertà espressiva.“ (il virgolettato direttamente dal testo della mission di Aspen Institute pubblicato sul loro sito internet, qui).

Sull'Aspen Institute si possono reperire in rete varie notizie, anche di carattere complottistico, ma a mio avviso tale associazione consiste, più banalmente, in una congrega di ricchi e/o potenti, la quale si riunisce in primo luogo col tipico obiettivo, camuffato con parole altisonanti, di fare reciproca e utile conoscenza. Credo inoltre che risponda a veritiere intenzioni la mission dichiarata dell'associazione, cioè “identificare e promuovere valori, conoscenze e interessi comuni”. Semmai dubito fortemente che i valori e gli interessi comuni di un ristretto gruppo di ricchi e/o potenti siano necessariamente i medesimi del resto dei comuni cittadini meno ricchi, meno potenti e meno leader di costoro. Tanto più che le riunioni si svolgono “'a porte chiuse'... in condizioni di assoluta riservatezza”.

Mi si potrà obiettare che non è detto sia così, che potrebbe trattarsi di una innocua compagnia di adepti a quella buona pratica chiamata 'paternalismo', ultimamente in auge sia a destra che a sinistra (infatti, fra gli associati Aspen troviamo esemplari politici appartenenti a uno spettro politico che va dal PD a Forza Italia).

Tuttavia - obietterei a mia volta - è plausibile che nel caso dell'Aspen Institute si inveri un classico conflitto di interessi, dal momento che tra gli iscritti ci sono sia rappresentanti dell'industria e della finanza sia uomini politici sia personalità del giornalismo e della cultura. Tutte persone che, a ben vedere, in una democrazia compiuta non dovrebbero avere fini esattamente coincidenti. Senza contare che Aspen Institute è un'associazione no profit finanziata da privati che – non si sa mai – potrebbero aspettarsi di essere ringraziati in qualche modo per le liberalità elargite.
A pensar male si fa peccato, ma è anche vero che l'occasione fa l'uomo ladro.
Mi rifiuto di credere che Umberto Eco si fosse iscritto all'Aspen Institute perché andava di moda, come, grossomodo, si giustificò  Berlusconi a proposito della sua iscrizione alla P2 (due situazioni estremamente diverse, è vero, ma specie all'interno dello stesso genere, secondo me).

Francamente, che Umberto Eco, associato ad Aspen, si sia permesso di pronunciare appelli elettorali facendo leva sulla superiorità morale sua e della parte politica da lui sostenuta lo trovo quantomeno incongruo e inopportuno. Quasi volesse convincerci che, a prescindere dal giudizio estetico (Berlusconi sotto il profilo culturale è stato un abominio, non ci piove), il conflitto di interessi del Cavaliere non fosse quello giusto.


Certo, oggi, col senno di poi, sappiamo che se avesse vinto le elezioni del 2001 l'altra parte politica non sarebbe cambiato granché per l'Italia. Ma il punto è che, se Berlusconi e la sua sottospecie di regime rappresentavano un modello politico deprecabile, l'adesione di Eco all'Aspen Institute ha significato consentire a un modello politico anch'esso deprecabile, sicuramente in contrasto con i metodi democratici di governo. 
Per questo io, oggi, non sottoscriverei l'appello di Umberto Eco.

Ironia dei ricorsi storici, nel 2006 qualcuno, applicando la medesima logica di Eco con linguaggio triviale, pronunciò la frase: "Ho troppa stima per l'intelligenza degli italiani per credere che ci possono essere in giro tanti coglioni che votano per il proprio disinteresse". Era Silvio Berlusconi, naturalmente.


Umberto Eco era dunque 'il più grande intellettuale italiano del dopoguerra', come asserisce qualcuno nei coccodrilli di questi giorni? Certamente no, secondo me, ma il più potente forse sì.

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